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Nel 1853
Prima applicazione dei princìpi della Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi

La “scuola positiva” aveva una visione deterministica del reato, che non veniva più visto come fatto isolato, come espressione di una condizione individuale, ma come comportamento inserito in un contesto sociale e da questo in qualche modo condizionato[7]. Inoltre, lo studio delle costanti e delle regolarità statistiche del reato comportava anche la possibilità di prevederli, almeno a livello di grandi numeri.

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I sostenitori di questa scuola, tra i quali Cesare LombrosoEnrico FerriRaffaele GarofaloFilippo Grispigni, il belga Harald Prins e l'austriaco Franz von Liszt, partendo dall'osservazione che il principio di causalità è regolatore di ogni fatto umano, lo applicarono alla vita sociale e quindi anche alla delinquenza: il delitto non è una manifestazione libera e responsabile del soggetto, quanto piuttosto un fenomeno determinato da cause empiricamente rilevabili. Nell'applicazione delle pene il diritto penale non avrebbe dovuto considerare la responsabilità morale del delinquente, ma la sua pericolosità sociale, intesa come probabilità di commettere i reati[7]. In questi termini, la concezione retributiva della pena, propagandata dalla scuola classica, è sostituita da quella preventiva, attuata attraverso due metodi:

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  1. il sistema del doppio binario[8], che dispone, al fianco delle pene tradizionali, le misure di sicurezza per i delinquenti ritenuti socialmente pericolosi;

  2. la pena a tempo indeterminato, applicata fino a quando il delinquente non fosse ritenuto risocializzato.

 

La “teoria del determinismo sociale”, che identificava nella società stessa l'esclusiva causa della condotta criminosa dell'uomo, si sviluppò per merito soprattutto di Cesare Lombroso il quale indirizzò i suoi studi, in termini medici, sulla persona del delinquente. Egli esaminando nel dicembre del 1870 un reperto umano, il cranio del brigante Villella, ucciso nel 1864, notò un'anomalia morfologica congenita, la presenza della fossetta cerebellare mediana o “fossetta vermiana” che è propria degli stadi embrionali degli animali inferiori (lemuri)[9]. Fu per lui una folgorazione: gli sembrò di aver scoperto il segreto delle cause della criminalità ed intraprese a lavorare sul concetto di atavismo, cioè sull'idea che l'ontogenesi, ossia lo sviluppo di ciascun individuo della specie, ripercorra la filogenesi, ossia lo sviluppo della specie stessa. Ogni individuo ripercorre nel proprio sviluppo individuale le tappe che sono state percorse dalla specie cui appartiene.

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Nella sua opera principale “L'uomo delinquente” espone la sua intuizione: nel criminale si è avuto un arresto dello sviluppo ontogenetico; egli è un individuo filogeneticamente arretrato, un atavico e presenta gli istinti feroci degli uomini primitivi. È questa la “teoria del delinquente nato”, secondo la quale i criminali sarebbero indotti fatalmente al delitto dalle loro malformazioni congenite, responsabili dell'arresto dello sviluppo ontogenetico. Le principali malformazioni sarebbero riconoscibili, secondo Lombroso, da una serie di caratteristiche somatiche, quali la morfologia cranica alterata, la fronte alta, il prognatismo, ecc. e da deformità mentali e comportamentali, quali la mancanza di sentimenti morali, in particolar modo della compassione e della pietà, l'assenza di scrupoli e rimorsi, la deficiente inibizione, la ridotta sensibilità al dolore, la vanità, il risveglio precoce dell'istinto sessuale, l'ozio.

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Proseguendo i suoi studi sulla personalità del delinquente e meditando sulla strage compiuta da un soldato ritenuto epilettico, tale “Masdea di Girifalco”, che uccise sette reclute e ne ferì altri sei nella Scuola Militare “Nunziatella” a Napoli, Lombroso corresse la teoria dell'atavismo individuando nell'epilessia la forza scatenante il reato: il delinquente è un epilettico nel quale la malattia risveglia gli istinti atavici[9]. Questa affermazione porta alla concezione deterministica e patologica del criminale ed a considerare equivalenti le classificazioni uomo-delinquente, delinquente nato (o pazzo morale) e delinquente pazzo (epilettico). Sulle spinte delle critiche suscitate dalle sue teorie, Lombroso nella rielaborazione dell'”Uomo delinquente” e nei “Palinsesti del carcere” (dove passa in rassegna le testimonianze scritte dei detenuti) rivolse la sua attenzione anche ad altri fattori che non fossero esclusivamente medici e diede sempre più spazio ai fattori ambientali e psicologici, ma con la convinzione che avessero un ruolo secondario nei soggetti già predisposti al crimine[7].

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La scuola positiva assunse in seguito due direzioni: chi insisteva sulle cause biologiche e chi su quelle psicologiche e morali. Su tale scia si pose il Garofalo secondo cui i reati non dipendevano tanto da problemi di sviluppo biologico quanto da quelli di tipo morale; in tal senso coniò il termine di “crimine naturale” per comprendere tutti i reati sociali. Studi sui fattori ereditari, invece, furono compiuti da numerosi criminologi tra i quali Richard Dugdale che effettuò delle deduzioni sull'albero genealogico di un campione di criminali e da Henry Goddard che mise a confronto due rami di un soldato della Guerra d'indipendenza americana[7].

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Fonte: wikipedia

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