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Nel 1735
La prima cattedra di Astronomia e Nautica fu istituita a Napoli

Il 1735 è l’anno in cui per la prima volta viene istituita in Italia la cattedra di Astronomia e Nautica. Un simile traguardo, la cui portata è molto più decisiva di quanto non si possa immaginare leggendolo come puro dato statistico, fu raggiunto grazie al concorso di diverse contingenze storiche e politiche, e grazie all’impegno di tre personaggi in particolare: Carlo di Borbone, Celestino Galiani, e Pietro di Martino.

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Il 1735 è anche l’anno in cui Carlo di Borbone viene incoronato a Palermo Re delle Due Sicilie, dopo aver scacciato gli austriaci dal meridione. Ciò che il giovane sovrano era riuscito ad ottenere nell’immediato, l’indipendenza del Regno delle Due Sicilie, riuscì ad ottenerlo anche a lungo termine nei confronti della corona spagnola, dalla quale veniva inizialmente “gestito” tramite consiglieri inviati da sua madre.

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L’anelito all’indipendenza, la rivendicazione orgogliosa del proprio primato decisionale, sono alla base delle riforme con cui Carlo ammodernerà il suo paese. Ma fin da subito il sovrano dimostrò di credere profondamente nell’istruzione quale istituzione imprescindibile per lo sviluppo di un regno. La formazione di personale qualificato ad ottenere progresso scientifico e ordinate amministrazioni diventa quindi la priorità, in ogni campo.

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Quest’esigenza si sposa benissimo con le istanze proposte da un certo Celestino Galiani, il cui nome non dirà molto ai più, ma che ha rivestito un ruolo di assoluto rilievo nel destino delle Università italiane. Dopo una vita di studi, si era guadagnato il titolo di prefetto dei Regi Studi con piena autorità su docenti e studenti dell’Università di Napoli.

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Ci mise 3 anni per far approvare la sua idea di riforma agli studi (tentava dal 1732), ma con l’arrivo di Carlo di Borbone infine vi riuscì. Nei suoi piani bisognava evitare che l’Università di Napoli cadesse nell’errore di bastare a se stessa. Era necessario aprirsi agli influssi delle più avanzate conoscenze europee per poter rimanere competitivi sul fronte culturale e tecnologico, e riorganizzare le strutture interne e le risorse umane delle Università.

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Parte di questa riforma prevedeva l’istituzione della cattedra di Astronomia e Nautica, in luogo di quella di Etica e Politica. Era la prima volta che in Italia l’Astronomia veniva in un certo senso ufficializzata, attraverso un corso di studi vero e proprio. Altra constatazione immediata: l’Astronomia veniva legata a doppio nodo alla Nautica. Entrambe le circostanze richiedono una riflessione.

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Già da tempo le principali potenze europee si erano dotate di osservatori astronomici all’avanguardia (in particolare Londra, Parigi e Berlino). Ma anche le città del nord Italia (Bologna, Firenze, Padova, Pisa, Roma), rispetto al completo stallo meridionale in questo campo, risultavano enormemente avvantaggiate. Colmare il gap era un imperativo categorico per precise ragioni strategiche in campo militare e commerciale.

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E qui veniamo alla seconda circostanza notevole circa la fondazione della cattedra di Astronomia e Nautica: il legame tra le due discipline scientifiche. I principali risvolti pratici delle teorie e delle nozioni astronomiche riguardavano la navigazione via mare. Gli intrecci erano così stretti da giustificare il binomio nella dicitura ufficiale della cattedra appena istituita.

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L’utilizzo delle navi per scopi commerciali e militari non era certo una novità. Ma un’accelerazione in campo tecnologico si rendeva necessaria a causa del forte impulso impresso dalla qualità e dal numero delle navi francesi ed inglesi, dalle loro tecniche di navigazione all’avanguardia, dalle conoscenze che via via gli osservatori astronomici mettevano a disposizione di ammiragli e generali delle marine straniere.

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Il neonato regno borbonico in questo campo era povero di idee e risorse. Dimostrando un’attitudine comune a molti suoi successori, Carlo di Borbonenon comprò “cose” per essere immediatamente competitivo sul fronte dei numeri con gli altri regni europei. Riteneva più opportuno comprare l’intelligenza, dall’estero, ed importarla in modo da poterne carpire i segreti.

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Nel caso in cui quelle “intelligenze” fossero state disponibili già in casa, sarebbero state utilizzate a maggior ragione. In campo astronomico Carlo si ritrovava tra le mani un matematico che sembrava avere inciso nel destino il suo impiego nella cattedra di Astronomia e Nautica. Si trattava di Pietro Di Martino (o De Martino).

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Pietro trasse certamente giovamento dalle conoscenze dei suoi due fratelli, Angelo e Nicolò. Il primo era stato professore di Fisica, Medicina, e Matematicaall’Università di Napoli. Il secondo aveva insegnato anch’egli matematica, ma era stato anche direttore del Real Corpo degli Ingegneri e Guardia Marina.

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Una famiglia di studiosi in campo matematico, dunque, tra i quali un esperto di marina. Nati tutti e tre a Faicchio, la città che diede i natali ad altri esimi scienziati: Luigi Palmieri, il fisico a cui si deve l’invenzione del sismografo elettromagnetico, e il medico oncologo Giovanni Pascale. Quando Pietro fu nominato nel 1735 professore di quella cattedra, il destino di famiglia sembrò convergere su di lui.

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E su di lui furono anche riversate una serie di aspettative che solo il futuro avrebbe potuto veder realizzate, nelle carriere degli allievi di Pietro. Nell’immediato della sua docenza, invece, Pietro De Martino aveva un assoluto bisogno di attrezzature idonee all’osservazione delle stelle, per poter superare l’impostazione eccessivamente teorica della sua materia.

Questo bisogno si traduceva in assillanti richieste al sovrano, affinché gli consegnasse un osservatorio astronomico, una specola. Ma Carlo di Borbone, solitamente molto attento alle esigenze dei suoi uomini chiave, questa volta non colse l’importanza della richiesta di De Martino. Non la colse nemmeno quando provenne dal successore del matematico.

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Rimasero infatti inascoltate le medesime suppliche provenienti da Sabatelli. Maggiore fortuna ebbe invece un allievo di Sabatelli, Cassella, il quale riuscì ad ottenere l’agognata specola, seppur fondata in una postazione che ne deprimeva le potenzialità. Sorte volle che morì in seguito agli effetti di una malattia contratta osservando il corso di una cometa.

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Nonostante le difficoltà dovute agli esordi di una disciplina che a Napoli non aveva mai attecchito più di tanto, se non presso Palazzi di nobili che ospitavano strumenti astronomici rudimentali, o presso ordini ed istituzioni religiose, l’Astronomia cominciò a dare i frutti sperati in termini di impulso alla marina.

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Non può essere un caso, infatti, che il 1735 è anche l’anno in cui Carlo il Borbone ordinò al Marchese di Salas, Ministro della Guerra e della Marina, di costituire una vera e propria armata di mare. La ragione impellente erano le incursioni dei pirati nordafricani sulle rotte commerciali delle navi borboniche.

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In realtà Carlo coglieva il segno dei tempi, guardando a ciò che accadeva in Francia e Gran Bretagna, nazioni che avevano già abbondantemente sviluppato sia le proprie conoscenze astronomiche, sia le proprie flotte navali. Il Regno delle Due Sicilie, per risultare immediatamente credibile ai propri interlocutori europei, aveva bisogno di una flotta navale di tutto rispetto.

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E tra i primati di cui si possono fregiare i Borbone, oltre alla costituzione della cattedra di Astronomia e Nautica, vi sono anche il primo codice marittimo al mondo, la prima fabbrica di navi in Italia, il primo piroscafo del Mediterraneo, la prima nave a vapore. Ce n’è abbastanza per capire che quel primo segno, quella cattedra nata dal nulla nel 1735, qualcosa nel tempo avrebbe significato.

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Fonte vocedinapoli.it

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