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Il museo di antropologia criminale Cesare Lombroso

Marco Ezechia Lombroso, detto Cesare (Verona6 novembre 1835 – Torino19 ottobre 1909), è stato un medicoantropologoaccademicosociologofilosofo e giurista italiano, da taluni studiosi definito come padre della moderna criminologia.[1]

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Le sue teorie non furono riconosciute dagli scienziati dell'epoca e furono utilizzate solo per giustificare l'invasione militare, senza dichiarazione di guerra, del Regno delle Due Sicilie, per motivare innazi all'opinione pubblica mondiale la lotta contro il cosiddetto brigantaggio. Le sue teorie come il museo di antropoligia criminale, oggi ancora aperto a Torino, sono un'offesa per tutti i popoli meridionali (ndr).

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Presso l'Università degli Studi di Torino è attivo dal 1876 un Museo di antropologia criminale da lui stesso fondato[12].

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Il museo contiene 684 crani e 27 resti scheletrici umani, 183 cervelli umani, 58 crani e 48 resti scheletrici animali, 502 corpi di reato utilizzati per compiere delitti più o meno cruenti, 42 ferri di contenzione, un centinaio di maschere mortuarie, 175 manufatti e 475 disegni di alienati, migliaia di fotografie di criminali, folli e prostitute, folcloristici abiti di briganti, persino tre modelli di piante carnivore. C'è anche lo scheletro di Lombroso, che egli, spegnendosi un secolo fa, volle lasciare alla scienza, così come il suo volto conservato sotto formalina (non esposto).

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Il Museo nacque come raccolta di oggetti che Lombroso aveva accumulato lungo il corso di tutta la sua vita, custodendoli in un primo tempo nello spazio privato della propria abitazione. Non esistono quindi criteri selettivi espliciti e prestabiliti, ma solamente il tentativo di mettere del materiale insieme, preliminare alla collezione. La figlia Gina, nella biografia del padre, descrive bene questa attitudine: “Lombroso era un raccoglitore nato – mentre camminava, mentre parlava, mentre discorreva; in città, in campagna, nei tribunali, in carcere, in viaggio, stava sempre osservando qualcosa che nessuno vedeva, raccogliendo così o comperando un cumulo di curiosità, di cui lì per lì nessuno, e neanche egli stesso, qualche volta avrebbe saputo dire il valore”[13].

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La raccolta di questi materiali, spesso macabri, passò anche per appropriazioni legalmente condannabili, come confessa lo stesso Lombroso: “Il primo nucleo della collezione fu formato dall'esercito, avendovi vissuto parecchi anni come medico militare, prima del '59 e poi nel '66, ebbi campo di misurare craniologicamente migliaia di soldati italiani e raccoglierne molti crani e cervelli. Questa collezione venne mano a mano crescendo, con i modi anche meno legittimi, dallo spolio di vecchi sepolcreti abbandonati: sardi, valtellinesi, lucchesi, fatto da me, dai miei studenti e amici di Torino e di Pavia”[14].

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Dal 26 novembre 2009 il museo è aperto al pubblico, e quasi contemporaneamente è nata una campagna per chiederne la chiusura[15] per supposta apologia di razzismo, cui hanno successivamente aderito un centinaio di città tra le quali: Assisi, Opera, Grosseto, Napoli, Bari, Lamezia Terme, Locri, Crotone, Cosenza, Catanzaro, Cerveteri, Aversa, Calitri Formia, Bitonto, Lavello, Siderno, Matera, Molfetta, Velletri, Gioia del Colle, Barletta, Terlizzi, Giovinazzo[16][17][18]. Anche l'allora assessore al commercio del Comune di Torino si è inizialmente espresso a favore della sua chiusura[19], facendo però poi dietrofront in occasione del voto della Giunta per rinnovare la convenzione di gestione dei musei ospitati nel Palazzo degli Istituti Anatomici[20].

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Alle critiche dei detrattori il Museo rispose sottolineando come lo stesso sia stato concepito con una "funzione educativa intesa a mostrare come la costruzione della conoscenza scientifica sia un processo che avanza grazie alla dimostrazione non tanto di verità, quanto della 'falsificabilità' di dati e teorie che non resistono a una critica"[21].

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Il comune di Motta Santa Lucia (CZ), paese natale di una delle persone i cui resti sono esposti nel museo, Giuseppe Villella (Lombroso teneva il suo teschio in bella vista sulla scrivania, come fermacarte[22]), un detenuto per furto erroneamente scambiato per un brigante, ha ottenuto nel 2012 dal tribunale di Lamezia Terme una sentenza favorevole alla restituzione delle spoglie del suo concittadino, nonché al pagamento delle spese di trasporto e tumulazione, al fine di darne degna sepoltura. Tuttavia, a seguito del ricorso da parte dell'Ateneo torinese, nel 2017 la corte d'appello di Catanzaro ha ribaltato la decisione di primo grado, respingendo la richiesta del comune calabrese[23]. Anche il comune di Sonnino ha chiesto nel 2010 la restituzione dei resti, alla sua comunità di origine, del brigante Antonio Gasbarrone, morto ad Abbiategrasso e fatto pervenire illegalmente[senza fonte] a Lombroso affinché potesse usarlo per legittimare le sue teorie; la richiesta è sostenuta anche dall'ex calciatore Alessandro Altobelli. Il comune di Arcidosso invece riuscì a farsi restituire, nel 1991, dall'Università torinese, gli effetti del predicatore David Lazzaretti, fondatore del Giurisdavidismo[24] al quale Lombroso aveva dedicato un articolo sull'Archivio di psichiatria credendolo matto[25].

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Fonte: wikipedia

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