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Nel 1846
costruzione della prima locomotiva collinare a cura di Giovanni (John) Pattison, capace di superare pendii del 2,5%.
La foto di riferimento ritrae una locomotiva a cremagliera, quella di John Pattison ne fu la "progenitrice"
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PATTISON, Giovanni (John). – Nacque a Newcastle, in Inghilterra, il 31 dicembre 1815, da Cristoforo. Non è noto il nome della madre.

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L’essere concittadino degli Stephenson – di George (1781-1848), inventore e costruttore della locomotiva, e di suo figlio Robert (1803-1859) – influenzò i suoi studi in ingegneria meccanica e la successiva attività. Curò, per conto dell’impresa costruttrice britannica, l’impiego e la manutenzione delle locomotive acquistate dalla ditta francese Bayard, concessionaria della prima rete ferroviaria italiana (Napoli - Portici - Castellammare).

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Il 5 ottobre 1839 sposò Elisabeth Ann Taylor, nata nel 1820, dal matrimonio con la quale nacquero tre figli. Il primo, John Taylor, morì all’età di sei mesi nel settembre 1841; gli altri due nacquero in Italia: Cristoforo a Torre del Greco il 30 giugno 1843, Tommaso Taylor a Napoli il 2 marzo 1845.

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Nel 1842, onde assicurare alle linee ferroviarie napoletane in espansione un’assistenza adeguata, Pattison fu indotto da Bayard, presumibilmente attraverso un’allettante offerta economica, a trasferirsi nella capitale del Regno delle Due Sicilie con la carica di direttore del reparto manutenzione delle officine di riparazione Bayard. Fino al 1862 conservò l’incarico e mise a frutto la sua esperienza meccanica lavorando anche in proprio e ricevendo commesse di fornitura di macchine da tutto il Regno. Intanto, tra il 1852 e il 1853, avviò con il noto industriale inglese Thomas Richard Guppy (1797-1882), l’attività di una ferriera, tramite la costituzione di una società paritaria (una società in nome collettivo con un capitale di 20.600 ducati), che acquistò un terreno ed edificò uno stabilimento nella zona del Ponte della Maddalena, non distante dal porto di Napoli.

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Guppy aveva lasciato la natia Bristol, probabilmente in seguito a contrasti con i suoi soci, e dopo aver raggiunto una certa notorietà e consistenza economica come ingegnere meccanico decise di rimettersi in gioco e ricominciare nonostante l’età matura. Trasferitosi a Napoli nel dicembre del 1849, creò con Pattison una società, che questi per riguardo nei confronti del collega più anziano, e forse anche per conservare la carica di direttore delle officine del Bayard, accettò di intitolare Guppy & Co.

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Nell’ottobre 1853, lo scoppio della guerra di Crimea, protrattasi sino al febbraio 1856, rese prima difficile, poi impossibile l’arrivo a Napoli della materia prima, requisita per necessità belliche, e la ferriera – la prima privata nel Napoletano e probabilmente anche in Italia – dovette convertire la produzione verso l’attività di fonderia e produzione di macchine. L’impresa fu accompagnata da un buon successo, testimoniato da diversi premi a numerose mostre industriali e da un notevole incremento della varietà produttiva.

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Particolarmente importante fu il risultato conseguito nella produzione e vendita di macchine agricole con il conseguente contributo alla meccanizzazione industriale del Sud d’Italia. Intanto Pattison, nell’esercizio dell’attività d’ingegnere ferroviario, ebbe occasione di acquisire nuove benemerenze nell’applicazione degli studi sulla riduzione del consumo di coke e soprattutto, nel 1856-57, quando progettò e costruì un nuovo tipo di locomotiva – tecnologicamente all’avanguardia anche nel campo delle pendenze – alla quale diede il suo nome, che fu utilizzata con buoni esiti dopo il prolungamento del tratto collinare Nocera - Cava dei Tirreni.

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Contemporaneamente chiese e ottenne dai Borbone in concessione la privativa di pezzi di ruote idrauliche e di altre produzioni meccaniche. Tuttavia né Pattison, né il suo socio Guppy, attorno alla fine del decennio, figuravano tra le massime personalità industriali del Regno, come testimoniato dall’assenza di entrambi dalla lista dei primi cento affidati presso la regia Dogana per il pagamento dei dazi. Dopo l’Unità la ditta Guppy attraversò una difficile fase di transizione, dovuta principalmente al venir meno della tariffa doganale protezionistica e all’introduzione di una nuova tariffa unica per il Regno d’Italia, più bassa rispetto a quella borbonica. La crisi fu nondimeno superata grazie a un incremento dell’offerta produttiva e a un consolidamento delle produzioni tradizionali. Alla fine del 1861, dopo l’acquisizione di un altro terreno adiacente, lo stabilimento si estendeva su una superficie di oltre 10.000 mq, occupava 575 operai ed era, nel giudizio di un protagonista dell’industria italiana come Giuseppe Colombo (1934, II, p. 1047), la seconda in Italia.

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Nel 1862 la vecchia società ferroviaria di Bayard fu acquisita dalla Società italiana per le strade ferrate meridionali. La posizione di Pattison, allo stesso tempo dirigente e industriale, fu considerata incompatibile; questo fatto determinò le sue dimissioni e la scelta di concentrarsi nell’attività privata. Tuttavia, e non casualmente, la maggiore disponibilità ritrovata andò a cozzare contro vecchi e consolidati equilibri, determinando un dissidio con il socio che non fu possibile sanare se non con un arbitrato.

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Il giudizio, lasciando stabilimento e attività a Guppy, riconosceva a Pattison un indennizzo valutato in 382.000 lire con un incremento di quasi nove volte, rispetto a quanto investito dieci anni prima (al cambio ufficiale di 4,25 ducati per una lira, 43.775 lire). Nella stessa zona di Napoli, tra il Ponte della Maddalena e i Granili, Pattison acquistò un terreno sul quale fece edificare un suo stabilimento.

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L’attività fu formalizzata il 1° gennaio 1866 con la costituzione di una società a nome collettivo, intestata ai figli Cristoforo e Tommaso, che gestiva la fonderia e l’opificio meccanico, lasciati però in proprietà al padre. Per tutta la fine del decennio l’attività si svolse con buona lena e discreti risultati, se è vero che nel 1870 Pattison occupava 400-500 operai e il vecchio socio Guppy 300-400, circa il 50% in più di quanto impiegato nelle officine Guppy dieci anni prima.

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L’affermazione di una nascente classe industriale in Italia era ostacolata, soprattutto al Sud, da questioni di carattere doganale e, comunque, dall’assenza di un ampio mercato privato. Il ricorso quasi obbligato era dunque alle commesse statali che, peraltro, favorivano, per rapporti di forza, le imprese centro-settentrionali. La crisi del 1873-74 portò a un ridimensionamento della meccanica napoletana che, però, colpì in misura minore Guppy e Pattison. Un miglioramento si ebbe a partire dal 1876, quando fu nominato ministro della Marina mercantile Benedetto Brin, fautore di un vasto progetto di costruzioni pubbliche. Pattison colse l’opportunità e, qualche anno dopo, decise di affiancare al vecchio stabilimento ferroviario un cantiere navale per la produzione di motori marini. Nella prima metà degli anni Ottanta, decisiva per l’espansione aziendale, diverse furono le commesse per la costruzione di torpediniere. La nuova tariffa doganale entrata in vigore nel Regno, nel 1887, nonostante qualche lieve correzione apportata, confermò il favore accordato all’industria siderurgica rispetto a quella metalmeccanica per la permanenza di dazi di scarsa efficacia protettiva su locomotive e macchine. Ciò nonostante, almeno sino alla fine del decennio, il settore sopravvisse senza forti affanni.

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In particolare Pattison ottenne buoni successi commerciali dai brevetti di macchine per l’agricoltura e l’industria dello zolfo, da caldaie a vapore più efficienti, mentre ampliò l’offerta in direzione della domanda di macchine per le costruzioni ferroviarie, per le carrozze di treni e funicolari e per l’alta ingegneria meccanica. Contemporaneamente e non di minor soddisfazione furono i risultati conseguiti nel settore navale, soprattutto nella componentistica minuta, cosa che permetteva di mantenere al livello di sufficienza il fatturato anche quando venivano a mancare i picchi raggiunti con le commesse statali per la costruzione di torpediniere.

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Dal 1889, dopo la morte dell’ultimo figlio, Tommaso – l’altro, Cristoforo, era morto ventinovenne nel 1882 – i giovanissimi nipoti, Giovanni Alfredo (1869-1954), figlio di Cristoforo, e Giovanni Enrico (1875-1940), figlio di Tommaso, furono progressivamente inseriti nell’azienda. Il vecchio fondatore ne mantenne però saldamente la guida. A dispetto dell’età avanzata, non rinunciò mai all’appuntamento annuale a Londra alla corporazione degli ingegneri, della quale era il decano; ottantenne si sobbarcò il peso di un viaggio di piacere da Napoli a New York e, sino alla fine, continuò a recarsi tutti i giorni allo stabilimento meccanico.

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Giovanni Pattison morì a Napoli il 31 marzo 1899.

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Il discreto sviluppo dimensionale degli ultimi anni non fu accompagnato dalla trasformazione giuridica in società per azioni con la ragione sociale Officine e cantieri napoletani Pattison, avvenuta solo nel 1904 con l’ingresso del Credito italiano nel capitale. I dati sul forte incremento dello scoperto bancario con l’Istituto, cresciuto da 400.000 a tre milioni dal 1897 al 1903 testimoniano una crisi evidente nel passaggio delle consegne dalla prima alla terza generazione. Pur essendo le officine e i cantieri Pattison fra i migliori esempi produttivi della zona, con una forza lavoro complessiva di poco meno di mille unità, non va sopravvalutata la portata in termini comparativi nazionali e internazionali. Non è un caso infatti, che proprio in quegli anni prendesse avvio l’acuta e profonda riflessione di Francesco Saverio Nitti sulla necessità di un’industrializzazione di Napoli. In tale analisi, l’industria metalmeccanica preesistente, che sarebbe stata sostituita da quella nata grazie all’iniziativa della legislazione speciale, fu severamente criticata con parole nette che non possono essere attribuite soltanto alle comprensibili necessità della polemica meridionalista. Le dimensioni, il livello tecnologico, la qualità e le attitudini della manodopera, la struttura giuridica e l’assenza d’infrastrutture e di un adeguato ambiente industriale, pesarono come elementi negativamente decisivi.

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Fonti e Bibl.: Necr. sul Don Marzio (31 marzo - 1° aprile 1899) e sul Corriere di Napoli (1° aprile 1899); sul Mattino (1-2 aprile 1899) la notizia della morte fu riportata, con la sola indicazione del nome e del cognome, nella rubrica Stato civile. Nulla invece apparve sul Roma.

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Alcune notizie su Pattison sono ricavabili dall’archivio dell’Anagrafe del Comune di Napoli, ma nel complesso sono rare come per tutti gli inglesi residenti a Napoli, dal momento che la documentazione era in esclusiva al Consolato di appartenenza. Quello napoletano, chiuso dal 2012, non ha consentito di reperire documentazione anagrafica diretta. Per ottenere qualche informazione aggiuntiva, con la conferma delle date di nascita e di morte, ci si è avvalsi del cimitero protestante di Napoli e, soprattutto, di una genealogia Pattison ricostruita sulle carte di famiglia dall’ingegnere Admeto Verde (messa a disposizione da questi, insieme con il prezioso testo dattiloscritto di una conferenza tenuta negli anni Venti al Rotary club di Napoli da G.A. Pattison sul tema Le industrie e le costruzioni navali napoletane).

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Per la ricostruzione dell’attività resta ancora fondamentale L. De Rosa, Iniziativa e capitale straniero nell’industria metalmeccanica del Mezzogiorno 1840-1904, Napoli 1968, in particolare pp. 50, 59 s., 76, al quale si rinvia anche per la minuziosa bibliografia. Per una valutazione dell’industria meccanica nel Regno delle Due Sicilie, D. Demarco, Il crollo del Regno delle Due Sicilie. La struttura sociale, Napoli 1960. Sull’ambiente imprenditoriale postunitario, F.S. Nitti, Napoli e la questione meridionale (1903), Napoli 2004, pp. 66-72; M. Marmo, L’economia napoletana alla svolta dell’Inchiesta Saredo, in Rivista storica italiana, 1969, n. 4, pp. 954-1023; M. Fatica, Cottrau Alfredo, in Dizionario biografico degli Italiani, XXX, Roma 1984. Per il programma di espansione navale e l’attività del ministro Brin, M. Gabriele, Benedetto Brin, Roma 1998. Utili per precisazioni varie, Collezione delle leggi e de’ decreti reali del Regno delle Due Sicilie, LXV-LXVII, Napoli 1858; G. Colombo, Scritti e discorsi scientifici, II, a cura di F. Giordano, Milano 1934, p. 1047; Annuario industriale della provincia di Napoli, Napoli 1939, pp. 305 s.; A. Fossati, Lavoro e produzione in Italia. Dalla metà del secolo XVIII alla seconda guerra mondiale, Torino 1951, p. 251; G. Ambrico, Cenni storici sulle aziende confluite nella Navalmeccanica (1780-1930), in Economia e storia, XI (1964), 4, pp. 533, 548-555; Id., Note sull’ubicazione e sulle vicende storiche delle Officine meccaniche e fonderie in Napoli, ibid., XII (1965), 4, pp. 527-544; M. Marmo, Il proletariato industriale a Napoli in età liberale (1880-1914), Napoli 1978, pp. 32, 60 s., 121-126; A. Confalonieri, Banca e industria in Italia: 1896-1904, II, Il sistema bancario fra due crisi, Bologna 1980, pp. 364-373; N. Ostuni, Industria privata e ferrovie nel regno delle Due Sicilie, Napoli 1980, pp. 71 s., 204; S. De Majo, Manifattura e fabbrica, in A. Vitale, Napoli: un destino industriale, Napoli 1992, pp. 48-51; A. Verde, Giovanni Alfredo P., in Bollettino dell’Associazione italiana di documentazione marittima e navale, 2010, n. 25, pp. 99-108.

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Fonte: treccani.it

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