top of page
hqdefault.jpg
In ricordo del grande Angelo Manna, il primo vero "sudista"
(Acerra8 giugno 1935 – Napoli
11 giugno 2001) é stato
giornalista, politico e poeta.
*     *     *     *     *     *     *     *     *
La storica interpellanza dell'On. Angelo Manna del 04 marzo 1991:
https://www.youtube.com/watch?v=ABGxoMOGTNc

Qualche giorno fa Angelo Manna avrebbe compiuto 84 anni. Poteva continuare, oggi più che mai, le sue battaglie ma il destino non ha voluto che succedesse e da quasi 20 anni ci manca la sua voce. Senza don Angelo molti di noi oggi non sarebbero nelle trincee della difesa della nostra storia e della nostra gente. Alla riunione del "parlamento" del Sud di sabato scorso era presente

​

l'avvocato Aldo Manna: sono stato felice e onorato della sua presenza nel ricordo del suo Angelo, di un nostro grande amico e di un grande Napoletano. Questo il mio ricordo pubblicato nel mio libro "Noi, i neoborbonici"…


Il primo sudista vero. “Mo’ ce ne dobbiamo andare”. Così Angelo Manna mi invitava, braccio sotto al braccio, ad uscire dalla sede del partito, “Fronte del Sud” poi “Lega delle Leghe” a via Gennaro Serra a Napoli, quando le discussioni prendevano pieghe diverse da quelle meridionaliste. Molti i simpatizzanti di quel piccolo partito ma molti stavano lì solo perché si trattava di un partito e non perché fossero meridionalisti. Don Angelo lo sapeva ma quando era troppo era troppo e preferiva un caffè o una pizza nella vicina via Toledo a discussioni che non interessavano né me né lui.

 

Angelo Manna era diventato famoso come “Il tormentone”. Nei tempi delle primissime televisioni libere, a Napoli, città pioniera delle tv libere grazie ai saperi dello scienziato Pierangelo Gregorio (suoi molti brevetti che hanno fatto il giro del mondo compresi States e Giappone), Canale 21 era, intorno alla fine degli anni Settanta, più seguita dei (due) canali RAI, gli unici visibili in epoca pre-Mediaset. Quando don Angelo usciva da quel teleschermo la città si fermava davanti alle sue parole di fuoco contro i politici di turno, i sindaci, i finti imprenditori, i soliti intellettuali…

 

“Pecore, siete un popolo di pecore!”

 

gridava qualche anno dopo da un’altra emittente ma lo faceva con un grande simbolo tricolore dietro le spalle, quello del MSI, il Movimento Sociale Italiano, il partito nel quale era stato eletto con un plebiscito di voti per due legislature. Quando telefonicamente gli feci notare le contraddizioni di certi simboli e di certi discorsi (ricordò in lacrime i caduti di Gaeta) “Hai messo il dito nella piaga”, mi disse.

 

Burbero, ironico e poetico, in due parole Napoletano e borbonico. Questo era Angelo Manna, classe 1935, forse il primo vero “sudista” di cui si abbia traccia dalle parti del Sud. Oltre ottantamila preferenze agli inizi degli anni Ottanta, giornalista di punta de Il Mattino, autore di tanti saggi sulla storia e la letteratura di Napoli ma anche di canzoni e di poesie con il suo stile inconfondibile e che ha sempre ricordato l’unico altro autore borbonico, Ferdinando Russo.

 

Quando dopo qualche anno lasciò il partito di Almirante per fondare il suo partito sudista nei primi anni Novanta, mi chiamò a telefono a casa. Manna era capace di ricordare centinaia di numeri di telefono a memoria e lo fece anche con il mio: “Ora vieni a darmi una mano”. E una mano gliela diedi tutti i giorni e in tutte le campagne elettorali.

 

Nota ricorrente? “Non ci stanno soldi”. Ma noi andavamo avanti lo stesso e con un’unica arma segreta: la fama di Manna. Non c’era napoletano che non lo conoscesse. Secondo il suo grande amico Roberto Bigliardo ogni volta che Manna usciva, però, perdevamo una cinquantina di voti.

 

"Era meglio che ce stevemo 'a casa"

 

era la frase che chiudeva mestamente ma realisticamente quelle serate pre-elettorali. Una notte in un ristorante del centro antico di proprietà di un vecchio cantante napoletano, di fronte alle insistenze del proprietario nel richiedergli di declamare alcune sue poesie di quello che veniva definito “l’inferno” della poesia napoletana, la reazione fu non fisicamente ma letterariamente molto violenta (50 voti persi). A via Chiaia dovemmo quasi togliergli dalle mani un tassista che lo aveva salutato rimproverandogli l’inutilità della sua permanenza nel parlamento romano e devo dire che, nonostante gli altri 50 voti persi, Manna non aveva torto: deteneva il record di interrogazioni parlamentari in quegli anni e, tra le tante, non possiamo non ricordare

 

la sua interpellanza memorabile alla Camera il 4 marzo del 1991.

 

Manna chiedeva “al Ministro della Difesa, constatato che vige tuttora il più ostinato e pavido top secret di fatto su quasi tutti i documenti comprovanti gli intenzionali bestiali crimini perpetrati dalla soldataglia piemontese ai danni delle popolazioni, per lo più inermi, delle usurpate province meridionali dal tempo della camorristica conquista di Napoli a quello della cosiddetta breccia di Porta Pia…

 

Ancora più netto e lungimirante il passaggio sulla cultura “ufficiale” quando gli fu risposto che quegli archivi erano aperti per gli studiosi:

 

“Quali studiosi hanno potuto aprire questi armadi infami, signor sottosegretario? I crociati postumi, gli scribacchini diventati cattedratici per aver saputo rinnegare la propria origine e per aver saputo rinunciare alla ricerca della verità storica, per aver dimostrato di saper essere i sacerdoti del sacro fuoco del mendacio?”.

 

La risposta “pappagallesca”

-così la definisce Manna- di un giovane e imbarazzato Clemente Mastella, sottosegretario alla Difesa del tempo, non scioglieva affatto i dubbi sui misteri nascosti tra quei documenti (“sono documenti pubblici”) perché si tratta di documenti in parte anche pubblici ma resi spesso di fatto non consultabili e che in oltre 150 anni non sono stati mai oggetto di catalogazioni o inventariazioni serie e complete e meno che mai (nonostante le tante cattedre universitarie comprese quelle di Storia del Risorgimento) studiati analiticamente e organicamente.


Ottobre 1992, Maschio Angioino, Primo Congresso del Fronte del Sud, dopo un’estate trascorsa a fare comizi su un camion (i potenti mezzi sudisti) in giro per la città nonostante la caratteriale timidezza, prendo la parola e, in sintesi, tratto i temi che diventeranno il cuore del neoborbonismo: “il dovere di essere borbonici se conosciamo e amiamo la storia, il comprasud, l’attacco alla solita cultura ufficiale, la necessità di mettere insieme la gente, il popolo e gli imprenditori magari casa per casa, la necessità di una battaglia contro il 1799 e i suoi difensori… finiranno i finanziamenti per il Sud [!] e finiranno le clientele [?], ci saranno razzisti al governo [!], l’urgenza di una rivoluzione dal basso… c’è da essere pessimisti ma noi tutti siamo di certo 10 anni avanti rispetto agli altri, siamo davvero il futuro e questa politica prima o poi pagherà”… In ulteriore sintesi: molte cose vere, molte cose attuali, molte cose ancora utili.

 

Angelo Manna, in lacrime, mi ringrazia perché lui, De Crescenzo, “lo darebbe per il Sud, per il Sud se lo farebbe tagliare” e poi le sue consuete parole contro i meridionali rinnegati, contro i politici venduti e collusi con la criminalità, contro i finti rivoluzionari di fronte a milioni di disoccupati…

 

noi denunciamo come sacrilega e antimeridionale la Repubblica del 1799

 

(degli stessi cittadini di oggi con una carta non nostra: quella francese dimenticandosi del popolo) per i motivi che ha detto il mio, il nostro Gennaro De Crescenzo: di una chiarezza estrema: noi vogliamo essere borbonici per essere italiani!”.

 

Letto, approvato e sottoscritto non con la freddezza di un verbale ma con la commozione di una nostalgia per un signore che ha inventato il primo partito meridionalista in Italia ed ha avuto, forse, l’unico torto di essere stato 20 o 30 anni in anticipo. Una sera prima della chiusura della nostra ultima campagna elettorale, decidemmo ancora di usare la fama di Manna e di girare per i vicoli a dare volantini. Appuntamento in sede alle quattro del pomeriggio.

 

Passa un’ora, ne passano due, si fa sera ma di don Angelo nessuna traccia e nessuna possibilità neanche di rintracciarlo (i cellulari non li avevano ancora inventati e anche se li avessero inventati state certi che la vocina della compagnia telefonica avrebbe preso il posto di quella bassa e forte di don Angelo). Riapparve dopo un paio di giorni e dopo la prevedibile sconfitta elettorale. Non abbiamo mai saputo dove era finito Manna in quei giorni. “Una cosa bellissima, una cosa importante”. Geniale e folle, don Angelo, come tutti i Napoletani, i Napoletani veri. E poi arrivò quell’estate del 2001 che lo portò via alla sua famiglia e a tutti quelli che amavano Napoli e il Sud. Manna era di Acerra e Acerra recentemente e giustamente gli ha dedicato una strada e una biblioteca. Casi strani della vita ma io da qualche anno abito ad Acerra, non lontano da quello studio dove spesso abbiamo trascorso giornate intere a parlare delle cose “nostre”.


Gennaro De Crescenzo

testo pubblicato nel 2019 

Fonte: neoborbonici.it

bottom of page