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Pasquale Domenico Romano, noto come Sergente Romano (Gioia del Colle24 settembre 1833 – Gioia del Colle5 gennaio 1863), è stato un ufficiale e brigante 
duosiciliano. Come militare servì nell'esercito borbonico.

Nato da Giuseppe e Anna Concetta Lorusso[1], semplici pastori, nel 1851, a soli 17 anni, si arruolò nell'Esercito borbonico dove raggiunse il grado di sergente divenendo "Alfiere" della Prima Compagnia del 5º Reggimento di Fanteria di linea. A seguito dell'Unità d'Italia divenne il comandante del Comitato Clandestino Borbonico di Gioia del Colle.

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Ben presto lasciò il comitato volendo passare subito all'azione, formando in poco tempo una squadra composta dalla maggior parte di ex-militari dell'Esercito Borbonico. Rifornitosi di armi e munizioni, il 26 luglio 1861 attaccò la guarnigione di Alberobello facendola prigioniera insieme ai militari del presidio di Cellino. A Cellino si decise di fucilare i prigionieri: il milite Vitantonio Donadeo inginocchiandosi durante la fucilazione gridò "Madonna del Carmine, aiutami!". Il fucile, puntato sulla nuca, fece cilecca e il sergente Romano risparmiò Donadeo ed altri 8 prigionieri.[2] Due giorni dopo, il 28 luglio, attaccò Gioia del Colle mettendo in seria difficoltà la guarnigione, ma senza riuscire a prendere il controllo della città[3]. .[senza fonte]

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Ebbe anche contatti con Carmine "Donatello" Crocco, leader dei briganti del Vulture e parteciparono, assieme, ad alcuni assalti alle truppe unitarie, come nel febbraio 1862, quando Crocco e Romano giunsero con i loro uomini nei pressi di Andria e Corato, uccidendo dei militi della Guardia Nazionale in servizio di perlustrazione e depredando alcune masserie. Romano invitò il capobrigante lucano ad un'alleanza, con l'obiettivo di conquistare Terra d'Otranto, collaborando con il brigante Pizzichicchio. Il Romano dominò i comuni del barese innalzando ovunque il vessillo borbonico ma Crocco, reduce dell'esito negativo dei precedenti tentativi di restaurazione, rifiutò la proposta.[4] Il 24 luglio 1862, quattro commilitoni si distaccarono dal sergente Romano che non era a favore, dimostrando pietà, della morte del prigioniero caporale della Guardia Nazionale Teodoro Prisciantelli.[non chiaro]

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A seguito dell'uccisione della sua fidanzata, Lauretta d'Onghia[5], il 9 agosto ad Alberobello il sergente Romano assaltò la fattoria di Vito Angelini, ritenuto il delatore che aveva permesso la morte di Lauretta, e lo fece fucilare nell'aia. Dopo aver subito una dura sconfitta il 4 novembre 1862 presso la masseria Monaci, vicino Noci, il capobrigante divise la sua banda in piccoli gruppi più manovrabili, ispirandosi alla tattica di Crocco.[6] Nello stesso mese, furono invasi i comuni di Carovigno ed Erchie, disperdendo la guardia nazionale e saccheggiando le abitazioni dei liberali.

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Sergente Romano morì nelle campagne tra Gioia del Colle e Santeramo in Colle durante un sanguinoso scontro a fuoco con la Guardia Nazionale e i Cavalleggeri di Saluzzo il 5 gennaio 1863. Circondato da forze sovrastanti, circa 200 uomini, dovette accettare battaglia e combattere con i suoi 20 compagni. Prima di morire chiese di essere ucciso come un soldato ma fu invece ammazzato a sciabolate.[7]. Sul suo corpo, dopo la sua morte, furono ritrovate preghiere e il testo del seguente giuramento:

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«Promettiamo e giuriamo di sempre difendere con l'effusione del sangue Iddio, il sommo pontefice Pio IX, Francesco II, re del regno delle Due Sicilie, ed il comandante della nostra colonna degnamente affidatagli e dipendere da qualunque suo ordine, sempre pel bene dei soprannominati articoli; così Iddio ci aiuterà e ci assisterà sempre a combattere contro i ribelli della santa Chiesa.

 

Promettiamo e giuriamo ancora di difendere gli stendardi del nostro re Francesco II a tutto sangue, e con questo di farli scrupolosamente rispettare ed osservare da tutti quei comuni i quali sono subornati dal partito liberale.

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Promettiamo e giuriamo inoltre di non mai appartenere a qualsivoglia setta contro il voto unanimemente da noi giurato, anche con la pena della morte che da noi affermativamente si è stabilita.

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Promettiamo e giuriamo che durante il tempo della nostra dimora sotto il comando del prelodato nostro comandante distruggere il partito dei nostri contrari i quali hanno abbracciato le bandiere tricolorate sempre abbattendole con quel zelo ed attaccamento che l'umanità dell'intiera nostra colonna ha sopra espresso, come abbiamo dimostrato e dimostreremo tuttavia sempre con le armi alla mano, e star pronto sempre a qualunque difesa per il legittimo nostro re Francesco II.

Promettiarno e giuriamo di non appartenere giammai per essere ammesso ad altre nostre colonne del nostro partito medesimo, sempre senza il permesso dell'anzidetto nostro comandante per effettuarsi un tal passaggio.

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Il presente atto di giuramento si è da noi stabilito volontariamente a conoscenza dell'intera nostra colonna tutta e per vedersi più abbattuta la nostra santa Chiesa cattolica romana, della difesa del sommo pontefice e del legittimo nostro re.

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Così abbracciare tosto qualunque morte per quanto sopra si è stabilito col presente atto di giuramento[8]»

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Fonte: wikipedia

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