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Giuseppe Caruso, soprannominato Zi’ Beppe (Atella18 dicembre 1820 – 1892), è stato tra i più distintivi del brigantaggio lucano. Assieme a Giovanni “Coppa” Fortunato e a Ninco Nanco fu uno dei più spietati luogotenenti di Carmine Crocco (uccise 124 persone in quattro anni di latitanza) ma, dopo essersi consegnato alle autorità sabaude nel 1863, fu anche uno dei responsabili della repressione del brigantaggio nel Vulture.

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Gli inizi

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Prima di essere brigante, Caruso era un guardiano campestre dei Saraceno, nobile famiglia di Atella. Nell’aprile 1861, dopo aver sparato ad una guardia nazionale del suo paese, decise di diventare brigante per fuggire alle accuse ed evitare la fucilazione. Si distinse subito per la sua freddezza e le sue doti di leadership, riuscendo a costituire una banda operante nella zona ofantina.

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Brigantaggio

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Carmine Crocco lo arruolò nel suo esercito di briganti ed entrambi furono protagonisti di vari scontri con la guardia nazionale. Caruso, sotto il comando di Crocco, partecipó attivamente alla conquista della Basilicata. Il 6 aprile 1862, la sua banda si scontró nei pressi di Muro Lucanocon delle truppe regolari, uccidendo nove fanti.

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Nell’agosto 1862, i due briganti parteciparono alle trattative di resa con il delegato della Pubblica Sicurezza di Rionero, Vespasiano De Luca. Esse prevedevano una grazia ai briganti e il giudizio da parte di un tribunale civile e non militare, mentre per i capi si prometteva il confino in un’isola scelta del governo. Tuttavia quelle trattative non furono concretizzate.

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Caruso continuò la sua attività di brigante e, il 6 settembre dello stesso anno assieme al suo capo Crocco ed altri 200 briganti, attaccarono una masseria, derubando dieci tomoli di biada per i cavalli, venti grani e dieci panni del valore di venti ducati. Il brigante atellano fu anche uno degli artefici del massacro dei 15 cavalleggeri di Saluzzo e di altri 21 tra Melfi e Lavello.

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IL TRADIMENTO

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Caruso, a causa di attriti con Crocco in circostanze non chiare, uscì dal suo esercito e, convinto della famiglia Saraceno, si arrese al generale Fontana il 14 settembre 1863 a Rionero. Imprigionato e interrogato nel carcere di Potenza, il brigante tradì i suoi compagni svelando alle autorità le loro strategie e i loro compromessi con alcuni politici locali.

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Il 5 ottobre 1863, il Tribunale Militare di Potenza lo condannò a sette anni di carcere come aveva chiesto il suo avvocato, una pena ridotta data la sua collaborazione con le istituzioni. Il 1º marzo 1864, ottenuto il permesso dal prefetto di uscire dal carcere, Caruso, assieme a De Vico, capitano dei Carabinieri di Potenza, colsero di sorpresa Crocco ed altri briganti.

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L’ormai ex brigante uccise due colleghi ed un terzo lo portò al presidio militare di Rionero. Dopo la costituzione delle Zone Militari di MelfiLacedonia e Bovino, Caruso fu poi affidato al generale Emilio Pallavicini, con il quale proseguì la sua attività repressiva contro i briganti, grazie alle sue preziose informazioni.

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Ultimi periodi

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Il 7 aprile 1864, il direttore delle carceri di Potenza chiedeva la grazia sovrana per Caruso, per aver dato un grande contributo nell’annientamento del brigantaggio nel Vulture. Così, il 7 novembre 1864, il re Vittorio Emanuele II gliela concesse. Per il suo impegno, l’ex brigante ricevette vari privilegi e venne nominato brigadiere delle guardie forestali di Monticchio, all’età di 66 anni. Inoltre gli fu concesso di portare armi da fuoco, per mantenere l’ordine pubblico del suo paese e per difesa personale. Caruso morì nel 1892, all’età di 72 anni.

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​fonte: wikipedia

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