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Nel 1754
La Prima Cattedra di Economia al mondo fu affidata ad Antonio Genovesi a Napoli

Nel 1754 nasceva a Napoli la prima cattedra di Economia al mondo. Il termine esatto con cui questa cattedra vide la luce fu “Commercio e Meccanica”, ma Antonio Genovesi, il primo titolare a cui venne affidata, nei suoi numerosi libri, preferiva parlare più propriamente di Economia Civile. Tre modi, quindi, di indicare la stessa, vastissima materia: Economia, Commercio e Meccanica, Economia Civile. Tre espressioni che rivelano intenzioni e mentalità di chi li utilizza.

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“Economia”, diremmo oggi, consapevoli che questa sfera contiene un magma di flussi intrecciati difficilmente separabili. “Commercio e Meccanica”, fu l’indicazione borbonica, il che rivela le finalità pratiche di una disciplina che, non ancora ben inquadrata in partenza, metteva in relazione i rapporti commerciali con la tecnologia. “Economia Civile”, diceva il Genovesi, ponendo l’accento sull’incivilimento necessario prima ancora che sulle teorie economiche.

Poiché, in fin dei conti, il titolare della cattedra fu Antonio Genovesi, non il mondo odierno, non i sovrani borbonici, sarà meglio, per comprendere la reale portata di quanto successe nel 1754 con l’istituzione di quella cattedra, capire cosa intendesse davvero dire, quando parlava di “Economia Civile”. Da lui si irradiò per tutta Napoli, e provincia, un sapere completamente nuovo. A lui confluirono, interessati, gli occhi degli uomini di cultura di mezza europa.

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CHI ERA ANTONIO GENOVESI

Nacque a Castiglione, in provincia di Salerno, nel 1713. Il padre, un calzolaio, riuscì nonostante i pochi mezzi ad avviarlo agli studi grazie alle cure di un parente dottore, che istruì il piccolo Antonio in filosofia peripatetica e cartesiana. A 18 anni, nel bel mezzo di nuovi studi teologici, ahilui, Antonio s’innamorò. Il padre, temendo ripercussioni sulla sua istruzione, lo spedì in Convento, dove dovette, giocoforza, proseguire il suo ben avviato processo educativo.

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Ordinato diacono, superò l’esame di teologia dogmatica, e a 24 anni era già insegnante di Retorica. Perfezionò ulteriormente le sue conoscenze in Francese, Italiano, e Latino, prima di prendere definitivamente i voti come sacerdote e trasferirsi a Napoli. Anche a Napoli si fece apprezzare in tempi rapidi, ottenendo la stima e l’amicizia di Gianbattista Vico, nonché la cattedra di Metafisica ed Etica all’Università.

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LA CATTEDRA DI ECONOMIA E MECCANICA

Ed eccoci giunti alla data da cui avevamo cominciato, quel fatidico 1754 nel quale, dopo tanti riconoscimenti, gli viene affidata la cattedra di Economia e Meccanica. Come detto, questa non era la sua prima esperienza di docenza nell’Università di Napoli. Era stato già nominato professore di Metafisica ed Etica dallo stesso Celestino Galiani, il Cappellano Maggiore del Regno di Napoli che, con grandissima lungimiranza, aveva istituito la prima cattedra di Astronomia e Nautica al mondo.

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Già ai tempi di quel prestigioso traguardo, Antonio Genovesi aveva richiesto di poter aggiungere agli insegnamenti previsti nel suo corso di studi, argomenti più attinenti all’economia. A suo parere, infatti, l’etica e l’economia si compenetravano in intersezioni non di poco conto. Istruire una generazione di napoletani in grado di gestire le complesse relazioni tra felicità e benessere cominciava quindi a diventare un’urgenza, nella coscienza civile del Genovesi.

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L’erudito di Castiglione fu infine accontentato. Non già nell’ambito della sua esperienza dell’ambito della Cattedra di Metafisica ed Etica, ma in una nuova sfida mai affrontata prima: la Cattedra di Commercio e Meccanica. A credere in Antonio e nelle sue idee fu Bartolomeo Intieri. Fu lui ad affidargli la nuova cattedra, condividendone il pensiero e le ampie vedute.

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LE IDEE DI ANTONIO GENOVESI

Il principio base su cui si basò l’insegnamento del Genovesi fu quello di un’economia come bacino di civiltà, uno strumento teso al miglioramento delle condizioni di vita di popoli e persone. In linea generale l’abbandono della teoria fine a se stessa, in favore della ricerca di soluzioni ai problemi pratici della società del tempo, attraverso la conoscenza. I principi teorici dell’economiacome mezzo, non più come fine.

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Il tutto è sintetizzato nelle parole di gratitudine riferite in una lettera da Antonio Genovesi a Bartolomeo Intieri, il mecenate toscano che gli affidò la cattedra: “M’avete dallo studio delle idee e dalle sterili contemplazioni richiamato a pensieri più vicini alle cose umane, e sì fatto chiaramente vedere il vero fine delle lettere e de’ studi nostri”.

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La propensione per un sapere pubblico che potesse educare i discenti a non trascurare mai le finalità civili dei propri studi, per poi irradiarsi positivamente, tramite le loro future occupazioni, sulla società, si palesò in un dato significativo: per la prima volta le lezioni universitarie erano svolte in italiano, e non in latino.

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Tutto questo si sposava benissimo con le istanze illuministiche che lampeggiavano in vari stati europei. Non a caso i modelli ai quali il Genovesi si ispirò furono le gloriose repubbliche dell’antichità, con principi di uguaglianza e partecipazione diretta del popolo al governo, e le repubbliche moderne di Olanda e Svizzera, meno condizionate rispetto ad altri regni dalla ragion di Stato.

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La “sua” economia non parlava esclusivamente di “vile denaro”. I termini ricorrenti nei suoi libri, e plausibilmente nelle sue lezioni, erano altri: felicità, reciprocità, fiducia. Partiamo proprio dalla fiducia, per farci un’idea del credo genovesiano riguardo il nesso tra economia e temi civili. Genovesi distingueva tra fiducia privata (reputazione), e fiducia pubblica (quella del popolo nelle istituzioni).

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A Napoli, secondo il professore, le cose non sarebbero andate bene finché le istituzioni non si fossero meritate la fiducia dei napoletani (giustizia equa e onestà della classe dirigente). Si potrebbe mai dargli torto, anche a distanza di secoli? Ciò di cui ci si lamenta oggi ogni giorno, era ampiamente teorizzato già nella seconda metà del 1700. Senza fiducia, non c’è sviluppo. Se non mi fido delle istituzioni, intraprendo difficilmente un’attività in loco.

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Il commercio, da sempre base del movimento economico, aveva in Genovesi un’accezione tutt’altro che monetaria. Commercio era reciprocità, opportunità di mutuo soccorso, scambio e arricchimento. Oggi siamo abituati a vedere del commercio il lato più predatorio, la concorrenza spietata, i giochi di risparmio per incrementare la produzione, la guerra dei prezzi. Secondo Genovesi, invece, guerra e commercio avrebbero dovuto essere termini agli antipodi. Due nazioni che ben commerciano, non si fanno guerra, perchè è nell’interesse di entrambe usufruire dei reciproci prodotti.

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La reciprocità e la mutua assistenza sono termini che ben descrivono anche le migliori relazioni umane. Non diversamente dagli uomini e dai legami di amicizia, le nazioni potrebbero e dovrebbero poter sopperire ognuna ai bisogni dell’altra, a patto che sull’altra sponda della relazione si faccia altrettanto. Ed esattamente come gli uomini socialmente soddisfatti possono dirsi felici, felice sarà il commercio tra due nazioni che badano al soddisfacimento dei propri popoli, fornendo beni e servizi acquistati da altri, laddove non si possa disporne in casa.

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Fonte vocedinapoli.it

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