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Il brigante Giuseppe Miglionico,
detto "Scoppetiello".

L’interpretazione del personaggio “ Scoppetiello ”, al secolo Giuseppe Miglionico, di Vincenzo, risulterebbe oltremodo falsata ed arbitraria se si omettesse di citare l’episodio che più di tutti ha segnato tristemente la sua disgraziata esistenza; e mi riferisco ovviamente all’ignobile e indicibile accadimento che ebbe come immondo palcoscenico proprio la sua casa, il fatto violento, l’orrore dello stupro consumato ai danni delle povere donne della sua famiglia : sua madre Caterina e Carmela, la giovane sorella.

 

Le due infelici, inermi, intente alle faccende domestiche, subiscono l’umiliazione della violenza carnale, dell’abuso maschilista da parte di chi, indossando la divisa dell’Arma, detiene il potere ed ignora invece il dovere di proteggerle, quel dovere sacrosanto per il quale avevano fatto giuramento alla Patria da poco unificata, siamo infatti nell’estate del 1861. I fatti, si disse, andarono come segue : tre carabinieri si presentarono a casa di Vincenzo Miglionico per precettare alla leva il di lui figlio, Giuseppe, resosi irreperibile alle Forze dell’Ordine; di fronte alla palese reticenza delle due donne nel voler fornire notizie del congiunto, figlio e fratello, i Carabinieri reagirono nella maniera più volgare e vergognosa, stuprandole a turno, come a voler lanciare, con tale umiliante ed oltraggiosa sopraffazione. un guanto di sfida al giovane ribelle Scoppetiello, datosi alla macchia per non incorrere nei rastrellamenti delle milizie piemontesi, in quanto renitente alla leva quinquennale imposta dal neonato governo sabaudo.

 

Dei tre militari infedeli, si sa per certo che pagheranno il fio, scontando sulla loro pelle la vendetta del giovane disperato Giuseppe Miglionico, alias Scoppetiello, al tempo dei fatti appena ventenne, che lava col sangue l’onta spregevole subìta, pensando, così, di ridare dignità all’onore vilipeso della sua famiglia.

 

Dopo l’agguato mortale inflitto ai tre carnefici, inizia per lui, come d’altronde era inevitabile che fosse, la lunga latitanza, che si concluderà solo con la sua morte, violenta ovviamente, avvenuta nel 1868 per mano di tale Francesco Palombo, colono, confidente del giudice Schiavoni che da tempo gli dava la caccia.

 

Se volessimo attualizzare la figura di questo tanto discusso e discutibile personaggio, psicanalizzandone l’indole ed il comportamento, risulterebbe quanto mai evidente l’eziologia psicotico-depressiva del suo agire violento, della sua incapacità ad amare, della negazione extunc di qualsivoglia sentimento, della istintiva propensione alla violenza tout-court, della brutale crudeltà…….tutti aspetti, questi, originati dall’efferatezza dei due fatti di sangue che segnarono inesorabilmente il suo essere, la sua natura di contadino del sud, devoto alla famiglia ed incline al lavoro.

 

La latitanza, cui è coartato dai luttuosi eventi, la disperata costrizione alla macchia, la vita da “ senzadio ”, la fama di brigante spietato e sanguinario gli procurano profonda afflizione operando sulla sua indole con il cosiddetto effetto “ alone ”, ossia egli diventa esattamente come tutti pensano e si aspettano che sia e cioè il brigante crudele e spietato. Non tanto il pentimento per il triplice omicidio commesso, quanto il dolore la rabbia e la vergogna per l’affronto subìto da parte del potere costituito non lo abbandoneranno mai; da animale ferito nei sentimenti e nell’onore batte tutta la Val d’Agri, imponendo con furia brutale la sua legge, assoggettando chiunque abbia la sfortuna di imbattersi in lui, forte sicuro e fiducioso dell’ausilio dei suoi “ ladroni ”, ovvero quella turpe trentina di sinistri figuri che lo affiancano nelle scorrerie e compongono la base fissa della sua banda.

 

Con tali compagni, diremmo noi, di sventura, Scoppetiello ingemmerà ulteriormente la sua fama e la sua leggenda impreziosendola di cimeli e trofei quali agguati, rapine, imboscate, imposizioni ed angherie di ogni specie, prepotenze e soprusi, abusi e vessazioni, omicidi e crimini di diversa natura per approdare, poi, allo stupro….sfrenato, dissoluto, disgustoso, osceno, volgare.

 

E così il cerchio della sua psicosi si chiude come a voler esorcizzare l’amaro ricordo, come a tentare di lenirne il tormento, come a voler cancellare il martirio vissuto nella veste di figlio e di fratello.

 

Accade, infatti, che durante una scorribanda ai danni della masseria Miglionico, di proprietà dell’ex sindaco di Viggiano, fu fatta violenza carnale a certa Caterina Messina fu Nicola, di anni 30, moglie di tale Donato Lauletta, detenuto nelle patrie galere perché renitente anch’egli alla leva.

 

Ma all’orrore di Scoppetiello pare non ci sia mai fine……! Peggiore e di gran lunga più ignominiosa nefandezza fu rivolta alla giovane Finamaria Di Lorenzo, di appena 20 anni, colta di sorpresa dal branco famelico e, diremmo noi, ghermita con prepotente triviale scelleratezza mentre, maledetto quel giorno, era pei boschi intenta a far legna.

 

L’onore della giovane Finamaria, come anni prima quello di Carmela, insieme alla sua innocenza e alla sua illibatezza le furono carpiti con inenarrabile violenza di gruppo…..come fiere feroci si accanirono sulla bella fanciulla mortificandone il corpo ed umiliandone lo spirito; e come le lacrime rigavano il volto della giovinetta e il sangue verginale dalla sua recondita intimità tingeva di carminio il candore del suo gentile incarnato, parimenti i sogni di ragazza semplice e onesta si immolarono per sempre sull’altare della più impudente scelleratezza.

 

Lei, ancora ignara della vita, vittima innocente e sacrificale dell’immondo Scoppetiello, la belva spietata, l’uomo turpe, sfacciato, sfrontato, capo di un’immorale banda di infami derelitti, indegni persino di quella pìetas cristiana che non si dovrebbe negare a nessuno…..eppure, l’immagine di quel giovane corpo umiliato ed offeso, abbandonato lì, nella zona della Fontana Rupolone, in agro di Viggiano, come in croce, le braccia aperte, le povere vesti sollevate a mostrare impunemente l’orrore delle gambe a forza divaricate, difficilmente ci ispira, nei confronti del brigante, sentimenti di religioso perdono e di evangelica remissione dei peccati.

 

Diana Camardo

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