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L'anarchico lucano Giovanni Passannante (vittima del regime sabaudo) originario di Salvia di Lucania e il suo fallito attentato ai danni di Umberto I di Savoia nel 1878:
https://www.youtube.com/watch?v=4BlEzG-3Dpwv=fe3OsiYgxnU

Giovanni Passannante, noto alla storiografia italiana ufficiale come anarchico per aver “attentato” nel 1878 con un temperino alla vita di re Umberto I di Savoia ebbe a pagare duramente per quel gesto in un carcere disumano e stretto sotto il livello del mare, ma non solo, i più stretti familiari, come la madre, due fratelli e tre sorelle ebbero a subire la piena vendetta sabauda perchè il giorno dopo l’attentato furono internati in un manicomio criminale, come ulteriore ritorsione al suo paese d’origine venne cambiato il nome da Salvia di Lucania a Savoia di Lucania.

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Informazioni da Wikipedia:

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Giovanni Passannante (Salvia di Lucania19 febbraio 1849 – Montelupo Fiorentino14 febbraio1910) è stato un anarchico repubblicano lucano. Fu autore di un attentato fallito alla vita di Re Umberto I di Savoia nel 1878. Condannato a morte, la pena gli fu commutata all’ergastolo. La sua prigionia fu dura e vi è chi ritiene che ciò l’abbia condotto alla follia, per la quale fu trasferito in manicomio, dove passò il resto della sua vita.

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L’attentato

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Il 17 novembre 1878, Re Umberto I di Savoia e sua moglie Margherita erano in visita a Napoli. Quando il corteo reale giunse all’altezza del Largo della Carriera Grande, Passannante si avvicinò alla carrozza del sovrano, che incedeva lenta tra la folla, e, simulando di voler porgere una supplica, salì sul predellino, scoprì un pugnale che teneva avvolto in uno straccio rosso e tentò di accoltellare il monarca.

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Questi riuscì a deviare l’arma, rimanendo leggermente ferito a un braccio. L’attentatore venne afferrato dal primo ministro Benedetto Cairoli che rimase ferito da un taglio alla coscia destra. Al momento dell’attacco, Passannante gridò: «Viva Orsini, viva la repubblica universale». L’attentatore aveva compiuto il suo gesto con un pugnale avente una lama di 8 cm circa che aveva ottenuto barattandolo con la sua giacca. Nel fazzoletto rosso nel quale aveva nascosto l’arma, Passannante aveva scritto: «Morte al Re, viva la Repubblica Universale, viva Orsini».

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Passannante, colpito con una sciabolata alla testa dal capitano dei corazzieri Stefano De Gioannini, venne tratto in arresto. Affermò di aver agito da solo; fu interrogato e torturato nel tentativo di fargli confessare una supposta congiura.

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Processo, condanna e pena

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Processato con un difensore d’ufficio, Passannante fu condannato a morte, sebbene il codice penale prevedesse la pena capitale solo in caso di morte del re e non di ferimento. Successivamente, con Regio Decreto del 29 marzo 1879, la pena gli fu commutata in ergastolo, che Passannante scontò a Portoferraio, sull’isola d’Elba. Rinchiuso in una cella alta 140 cm, priva di latrina, posta sotto il livello del mare, rimase senza poter parlare con nessuno e in completo isolamento per anni.

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« Passannante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell’acqua, e lì, sotto l’azione combinata dell’umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò … il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l’ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani … poté scorgere quest’uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. »

(Salvatore Merlino, «L’Italia così com’è», 1891 in “Al caffè”, di Errico Malatesta, 1922)

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Tali condizioni di detenzione furono oggetto di una denuncia dell’Onorevole Agostino Bertani e della giornalista Anna Maria Mozzoni, a seguito della quale il prigioniero, che nel frattempo aveva contratto una malattia mentale, certificata da una perizia psichiatrica condotta dai professori Biffi e Tamburini, fu trasferito presso il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, ove morì.

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Dopo la sua morte il corpo, in ossequio alle teorie dell’antropologia criminale, miranti ad individuare supposte cause fisiche alla “devianza“, fu sottoposto ad autopsia e decapitato e si scoprì che aveva una fossetta dietro l’osso occipitale. Si cominciò pertanto a pensare che quella fossetta fosse il segnale della tendenza all’anarchia di un soggetto.

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Il cervello e il cranio di Passannante, assieme a suoi blocchi di appunti, rimasero esposti sino al 2007 presso il Museo Criminologico dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia di Roma, dove si trovavano dal 1936, dopo essere stati conservati presso l’Istituto Superiore di Polizia associato al carcere giudiziario “Regina Coeli” di Roma.

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La permanenza dei resti in esposizione presso il Museo ha causato proteste e interrogazioni parlamentari. Il 23 febbraio 1999 il ministro di Grazia e Giustizia, Oliviero Diliberto, firmò il nulla ostaalla traslazione dei resti del Passannante da Roma a Savoia di Lucania, che avvenne solo otto anni dopo.

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Il nome del paese d’origine

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Nel comune di Savoia di Lucania la popolazione è presente un comitato “pro-Salvia”, a carattere meridionalista e neoborbonico, che rivendica il desiderio di ritornare al vecchio nome “Salvia di Lucania”, in memoria di Passannante e della storia del paese.

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