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« Il brigante è come la serpe, se non la stuzzichi non ti morde. » (Carmine Crocco)
Il ritorno di Carmine Crocco Donatelli nella provincia di Basilicata nell'autunno del 1860:
https://www.youtube.com/watch?v=7NiyTh4nzRo

‎”Molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana ed astratta. È dire senza timore, È MIO, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall’anima. È vivere di ciò che si ama. Vento forte ed impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, e così sempre sarà” (Crocco)

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Da wikipedia:

Carmine Crocco, detto Donatello (Rionero in Vulture5 giugno 1830 – Portoferraio18 giugno1905), è stato un brigante lucano, tra i più noti e rappresentativi del periodo risorgimentale. Era il capo indiscusso delle bande del VultureMelfese, sebbene il suo controllo si estese fino al Molise, alle zone dell’Irpinia (Avellino), a Capitanata (Foggia), alla Terra di Bari e Lecce.

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Nel giro di pochi anni, da umile bracciante divenne comandante di un esercito di duemila uomini, e la consistenza della sua armata fece della Lucania il cuore della rivolta antisabauda. Guidato più dall’istinto che da veri e propri ideali, egli combatté prima nelle file di Giuseppe Garibaldi, poi con la resistenza borbonica e infine per sé stesso, distinguendosi da altri briganti del periodo per chiara e ordinata tattica bellica e imprevedibili azioni di guerriglia, qualità che vennero esaltate dagli stessi militari sabaudi che gli diedero la caccia.

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In circa quattro anni di latitanza dall’unità d’Italia, Crocco fu uno dei più temuti e ricercati fuorilegge del periodo post-unitario, guadagnandosi appellativi come “Generale dei Briganti”, “Generalissimo”, “Napoleone dei Briganti”, e su di lui pendeva una taglia di 20.000 lire. Tuttora al centro di pareri discordanti, è considerato un bandito e carnefice per alcuni e un eroe popolare per altri, soprattutto per i sostenitori della tesi revisionista del Risorgimento.

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Crocco, nel periodo di Pasqua del 1861, conquistò la zona del Vulture nel giro di dieci giorni. Il 7 aprile occupò Lagopesole (rendendo il castello una roccaforte) e il giorno successivo Ripacandida, dove sconfisse la guarnigione locale della Guardia Nazionale Italiana. Crocco dichiarò subito decaduta l’autorità sabauda e ordinò che fossero esposti nuovamente gli stemmi e i fregi di Francesco II. Il 10 aprile i briganti entrarono a Venosa e la saccheggiarono, istituendo anche qui una giunta provvisoria. Durante l’occupazione di Venosa, morì, per mano dei briganti, Francesco Nitti, nonno dello statista Francesco Saverio.

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Fu poi la volta di Lavello ed infine di Melfi (15 aprile), dove Crocco fu accolto trionfalmente (anche se alcuni ricordano mestamente l’entrata dei suoi uomini nella città melfitana per via della macabra uccisione e mutilazione del parroco Pasquale Ruggiero). Con l’arrivo di rinforzi piemontesi da PotenzaBari e Foggia, Carmine fu costretto ad abbandonare Melfi e, con i suoi fedeli, si spostò verso l’avellinese, occupando, qualche giorno dopo, Aquilonia (a quel tempo chiamata “Carbonara”), CalitriSant’Andrea di Conza e Sant’Angelo dei Lombardi. L’arrivo di Carmine in Irpinia diede uno scossone a diverse popolazioni locali: comuni come Trevico e Vallata insorsero contro i piemontesi e sotto la sua influenza si formarono altre bande nella zona comandate da un suo nuovo luogotenente, il brigante Ciriaco Cerrone.

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L’espansione di Carmine riuscì anche a valicare i confini pugliesi, grazie anche all’appoggio del suo subalterno Giuseppe “Sparviero” Schiavone di Sant’Agata di Puglia, occupando la stessa Sant’Agata, Bovino e Terra di Bari. Nel frattempo, Crocco venne a sapere che Decio Lordi, colui che sembrava sostenerlo e che gli consigliò di arruolarsi nei garibaldini per evitare il carcere, lo aveva tradito, fornendo ai piemontesi alcuni indizi per catturarlo. Il brigante decise così di punirlo, ordinando ad alcuni suoi uomini di preparargli un’imboscata. Mentre stava lasciando Melfi per prendere la sottoprefettura di Eboli, il signorotto e le sue guardie vennero sorpresi da alcuni briganti che, dopo una breve colluttazione, li costrinsero ad arrendersi. Lordi riuscì a farla franca, scappando con due gendarmi. Carmine rimase amareggiato e non credette più ai galantuomini che finora sembravano appoggiarlo. Nell’ agosto 1861 programmò di sciogliere le proprie bande. Il barone piemontese Giulio De Rolland, nominato nuovo governatore della Basilicata al posto del dimissionario Giacomo Racioppi, era disposto a trattare con lui ma il neonato governo non era d’accordo.

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Crocco tornò sui suoi passi quando il governo borbonico in esilio gli promise rinforzi. Il 22 ottobre 1861, arrivò per ordine del generale borbonico Tommaso Clary, il generale catalano Josep Borges. Borges, da poco giunto dalla Calabria, venne a conoscenza, tramite Clary, delle vittoriose gesta di Crocco e organizzò un incontro con lui nel bosco di Lagopesole. Il generale aveva fiducia nelle capacità del brigante rionerese e vide in lui un valido aiuto per tentare un’insurrezione contro i piemontesi. Borges voleva trasformare la sua banda in un esercito regolare, quindi adottando disciplina e precise tattiche militari; inoltre programmò di assoggettare i centri minori, dar loro nuovi ordinamenti di governo e arruolare nuove reclute per poter conquistare Potenza, ancora un solido presidio sabaudo. Carmine gli diede retta, sebbene non nutrisse alcuna simpatia per il generale sin dall’inizio, temendo che Borges volesse sottrargli il comando dei propri territori (il brigante lo definì un “povero illuso”).

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Nel frattempo giunse da Potenza un nuovo rinforzo, il francese Augustin Marie Olivier De Langlais, che si presentò come agente legittimista al servizio dei Borboni. De Langlais, personaggio ambiguo di cui Borges ebbe a dire nel suo diario «si spaccia come generale e agisce come un imbecille», parteciperà a numerose scorrerie accanto al brigante.

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Partito da Lagopesole, assieme alle sue bande e con l’appoggio bellico di Borjes di circa 500 uomini, Crocco raggiunse le sponde del Basento, ove riuscì a reclutare nuovi combattenti, e occupò Trivigno, mettendo subito in fuga le guardie nazionali. La popolazione venne soggiogata e costretta ad obbedire ai suoi ordini. Spostandosi nella provincia di Matera, il 5 novembre, conquistò il piccolo centro di Calciano sulla destra del Basento e poi a Garaguso. Durante il tragitto verso Garaguso, Carmine incontrò un parroco, che implorò pietà. A parte qualche evento facinoroso, il paese venne occupato senza particolari disordini.

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Il mattino seguente fu la volta di Salandra, ben protetta dalle guardie nazionali, ma furono gli uomini di Crocco ad avere la meglio, grazie anche all’appoggio del popolo, ostile al nuovo governo piemontese. Si proseguì per Craco, ove non avvennero eventi sanguinari a seguito della clemenza richiesta dalla popolazione, e per Aliano, facilmente conquistabile essendo abbandonata alla sola popolazione, che accolse calorosamente i briganti. Per fronteggiare l’inarrestabile marcia di Crocco, il sottoprefetto di Matera preparò un esercito di 1200 uomini, composto da un battaglione di fanteria, bersaglieri e guardie nazionali. Questa volta la battaglia, combattuta nei pressi di Stigliano, fu più ardua del previsto per i briganti e molti di loro perirono, ma anche questa volta i combattenti di Crocco ne uscirono vincitori, grazie anche al contributo del suo “braccio destro” Ninco Nanco che, con soli 100 uomini, adottò una strategia determinante nel mettere in fuga la coalizione avversaria, il cui capitano fu ucciso e decapitato.

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Conquistati altri paesi come GrassanoGuardia PerticaraSan Chirico Raparo e Vaglio, l’esercito di Crocco giunse nelle vicinanze di Potenza il 16 novembre ma fu subito costretto alla fuga verso Pietragalla a causa di un ex borbone, passato alla parte dei sabaudi, che avvertì quest’ultimi dell’arrivo dei briganti e fornì loro armi in cambio di denaro. Il 22 novembre, i briganti giunsero a Bella e conquistarono Ruvo del MonteBalvanoRicigliano e Pescopagano. Con l’arrivo dell’ennesimo rinforzo militare piemontese, Crocco non fu più in grado di sostenere altre battaglie e ordinò ai suoi uomini la ritirata verso i boschi di Monticchio. Appena tornato, Crocco ruppe i rapporti con il generale Borges, perché era insicuro di vincere e temeva di diventare suo subalterno. Il generale catalano, non sopportando il suo cambio di rotta, si recò a Roma con i suoi 24 uomini per fare rapporto al re ma, catturato dai soldati sabaudi durante il tragitto, venne fucilato assieme ai suoi fedeli a Tagliacozzo.

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Il tradimento di Caruso

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Da quel momento, il brigante rionerese, rimasto senza un sostegno militare ed economico, minacciò ricchi signori di morte e di bruciare le loro proprietà se non l’avessero supportato a livello finanziario, arrivando a compiere depredazioni e ricatti fino alle zone di FoggiaBariLecceGinosa e Castellaneta. Si ritrovò a collaborare in diverse occasioni con il brigante pugliese Sergente Romano. Nel febbraio 1862, i due briganti giunsero con i loro uomini nei dintorni di Andria e Corato, uccidendo dei militi della Guardia Nazionale e depredando alcune masserie.

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Nell’ agosto 1862, il delegato di Pubblica Sicurezza di Rionero, Vespasiano De Luca, volle aprire una trattativa di resa con Crocco e Caruso. De Luca promise ai briganti di evitare la condanna a morte se giudicati da un tribunale civile, mentre per Crocco si prospettava il confino in un’isola stabilita dal governo sabaudo. L’esito dell’accordo si rivelò negativo. Nel marzo 1863 le sue bande (tra cui quelle di Ninco NancoCarusoCaporal Teodoro, Sacchetiello e Malacarne), attaccarono un gruppo di cavalleggeri di Saluzzo, guidato dal capitano Bianchi, e 15 di loro furono picchiati ed uccisi.

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Caruso, fino a quel momento una delle sue migliori sentinelle, entrò in attrito con il suo capo, per motivi non ancora chiari. Si sostiene che l’astio tra i due ebbe inizio quando Caruso fece sterminare dalla sua banda alcuni soldati piemontesi catturati, contro il volere di Crocco, che reagì a sua volta con violenza e fece ammazzare gli uomini del brigante di Atella. Un’altra ipotesi ritiene che i loro rapporti si incrinarono perché Crocco gli aveva rubato l’amante, la brigantessa Filomena Pennacchio.

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Caruso si arrese al generale Fontana il 14 settembre 1863 a Rionero, preparando la sua ritorsione nei confronti di Crocco e dei suoi ex alleati. Affidato al generale Emilio Pallavicini (noto anche per aver bloccato Garibaldi sull’Aspromonte mentre tentava di raggiungere lo Stato Pontificio), svelò alle autorità i piani e i nascondigli della sua organizzazione e, per via delle sue informazioni, numerosi briganti trovarono la morte e il loro esercito si indebolì progressivamente.

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L’arresto e la morte

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Con il rinnegamento di Caruso, l’esercito di Crocco fu costretto a ritirarsi verso l’Ofanto a causa dei massicci rinforzi alla Guardia Nazionale inviati dal governo regio. Nei giorni successivi tutti i paesi insorti e occupati furono riconquistati, ristabilendo l’autorità sabauda. Crocco e la sua banda vissero nei boschi sperando in un provvedimento di clemenza. La sua egemonia era ormai svanita e del suo vasto esercito rimase solo una manciata di uomini.

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L’esercito di Pallavicini lo sorprese sull’Ofanto, ove le sue truppe vennero decimate il 25 luglio 1864. Davanti ad una sconfitta ormai inevitabile, Carmine, auspicandosi un aiuto da parte del clero, si recò nello Stato Pontificio per incontrare il papa Pio IX, che aveva sostenuto la causa legittimista. In realtà, il brigante fu catturato dai soldati del papa a Veroli, per poi essere incarcerato a Roma. Tutto questo suscitò in lui un’amara delusione nei confronti del pontefice. Oltre all’arresto, gli venne confiscata una cospicua somma di denaro che aveva portato con sé nello stato Papale.

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Con l’arresto di Crocco, molti uomini sotto il suo comando come Caporal Teodoro, Donato “Tortora” Fortuna, Vincenzo “Totaro” Di Gianni e Michele “Il Guercio” Volonnino furono giustiziati o costretti ad arrendersi, decretando la fine del brigantaggio nel VultureMelfese. Carmine fu trasferito in galera a Marsiglia, poi spostato a Paliano, a Caserta, a Avellino per poi finire a Potenza. La sua fama era tale che, durante i suoi passaggi da una prigione all’altra, numerose persone accorrevano per poterlo vedere di persona. Durante il processo tenuto presso la Corte d’Assise di Potenza, il Procuratore Generale Camillo Borelli accusò Crocco dei seguenti reati: 62 omicidi consumati, 13 tentati omicidi, 1.200.000 lire di danni bellici e altri crimini come grassazioni ed estorsioni.

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Fonte: Wikipedia

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​(secondo Wikipedia Crocco morì a Portoferraio, secondo altre fonti morì in un carcere di Potenza, questa informazione è ancora da chiarire!)

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